venerdì 28 novembre 2014

martedì 25 novembre 2014

Lettera d'amore alla scuola pubblica




Quando ero piccola, vedevo mio nonno sfogliare le pagine di un vecchio (e un po’ muffito) vocabolario. Mio padre studiava la sera, dopo il lavoro, per prendersi il “diplomino”. Mia madre leggeva libri, riviste e enciclopedie. Mia sorella leggeva e scriveva perché andava a scuola già da un pezzo. Io ero l’analfabeta di casa. Desideravo andare a scuola, per avere quello che ai miei genitori e al nonno era stato negato: saper leggere, saper scrivere e far di conto.

Prima di me, in famiglia, la scuola era stato un sogno inappagato. Difatti, i miei s’arrangiavano con il “fai di te”. Io potevo contare su una scuola per tutti, dunque anche per me, nipote di un calzolaio e di una sarta, figlia di un meccanico e di una casalinga. Bella gente la mia gente di casa, che amava la scuola che non aveva avuto e che ora, per fortuna, poteva offrire a me.
Non fu tutto rose e fiori, come immaginavo io. Era una scuola, la mia, dove imperava l’autorità, la selettività, una certa burbera e indifferente considerazione dei bambini. Però c’erano i libri, l’alfabetiere e una maestra che, pur non amandoci, dedicava tempo a insegnarci l’ABC (come si diceva). E poi c’erano i miei, a casa, che discutevano, chiedevano, scoprivano con me la bellezza di sapere le cose, di andare a cercare quel che ancora non si conosceva, di pensare insieme e non sempre allo stesso modo. Ma farsi delle domande e sapere che le risposte si potevano cercare… beh, era una bellezza!
Ho frequentato una scuola pubblica piena di difetti. E che pure ho amato. Così tanto che ho deciso di insegnare. Per amore, senza dubbio. C’erano stati – per mia fortuna – mentre crescevo dentro una scuola dura, pedagogicamente volta al passato, alcuni giovani maestri, educatori che avevano immaginato il futuro e lo avevano costruito nel presente. Si chiamavano Gianni Rodari, Bruno Ciari, Loris Malaguzzi, Lorenzo Milani. Entrai, da insegnante, in una scuola giovane, piena di fermento. Trovai una vita durissima. Niente sconti a chi lavorava. Pochi soldi. Tanta fatica.
Niente facilità ma molta felicità. Quella contentezza, dico, che viene dalla fatica di aver trovato una strada di risveglio, di pensiero, di prospettiva per i bambini. Tutti. Insegnavo e ho continuato - per parecchi anni - a insegnare in scuole in cui sedevano uno accanto all’altra il bambino che viveva in una casa senza corrente elettrica e la bambina che abitava in una villa. Due mondi separati che si confrontavano, qualche volta si univano, altre volte si allontanavano ma che trovavano uno spazio di convivenza e di sapere comune sui banchi di scuola. Una scuola che non faceva sconti né agli insegnanti né ai bambini ma che si proponeva di non far parti uguali tra disuguali e che, negli anni seguenti, ha cercato di crescere persone e pensiero. Nello stesso tempo, persone e pensiero, perché questa è l’educazione pubblica: offrire opportunità di conoscenza a tutti, dare a ognuno la libertà di scoprire se stesso, le proprie attitudini, i desideri.
L’amore, si sa, è una costruzione. E spesso s’accompagna al disamore. Salvo poi… tornare a un nuovo amore, a una passione. Ci scopriamo pieni difetti, carichi di aspirazioni, forti di molte debolezze, capaci di lampi di genio e di ostinazione. La scuola pubblica, quella “di tutti”, è fatta così, di chiaroscuri. È la scuola del giardino coi pavoni e della casa senza luce, della lingua pigra del benessere e della lingua ruvida dell’escluso, della spavalderia dell’adolescente ribelle e della paziente fatica dell’insegnante, del forte e del debole, dell’amore e del disamore. È una scuola imperfetta, proprio perché è di tutti. Amo questa scuola difettosa, appassionata e tentata dal disamore, mortificata eppure orgogliosa di sé, capace di desiderare un mondo nuovo. Credo di non essere sola in questo amore.

Roma, 2 marzo 2011


Luisa Mattia*

*romana, PREMIO ANDERSEN 2008. Scrive i testi per la trasmissione “Il giornale del Fantabosco” (RAI TRE) ed è autrice, dal 2004, di MELEVISIONE (RAI TRE).  Scrive i celebri gialli per ragazzi I misteri di Teo, e altri vari testi anche teatrali.

Il dente batte…

Patrizia Rinaldi è una donna partenopea, l'ho conosciuta. All'inizio sembra che nemmeno ti guardi, poi ti guarda. E gli occhi le parlano. Poi scopri il discorso. Molto partenopeo, sempre col dramma in punta di ironia, o viceversa. "Adesso scappa" è una novella a fumetti, ambientata nel mondo degli adolescenti, intorno alla figura di Maddalena, con la cornice di un professore. Avete presente "Pompeo" di Andrea Pazienza? Ecco, c'entra niente. O forse un po' sì, nel vorticare della cose intorno a una lingua. Qui la lingua batte sul dente, dove duole. La donna partenopea ha fatto la scelta migliore: rifuggire lo slang, non inseguire, ma immergere tutto in un territorio di comprensione reciproca. I dialoghi, i titoli, i graffiti rupestri, sono una nuotata nello spazio - tra i muri degli edifici e i parchi - nel tempo - scandito dalle campanelle tra un'ora e l'altra e dal fisico che cambia, da un giorno all'altro. Come la bocca, che si libera dal ferro. «Poi all'improvviso Alessandro si gira e mi bacia. Sta succedendo a me, la bocca è mia.» Il bullismo è il non sapersi affrontare, la crescita lo sforzo di saperlo. Il ferro ai denti proteggeva una prigionia. La liberazione costa un dente. Anche Marta Baroni disegna che all'inizio sembra manco guardarti. Poi la guardi bene. E lei risponde. Una chicca imperdibile, per chi porta l'apparecchio, per chi sta togliendoselo, per mamme e papà che vogliano fare benzina. Per chi si sforza di saperlo.

venerdì 21 novembre 2014

La testa tra le nuvole: emozioni e personalità nella scrittura a fumetti

Lunedì 24 novembre 2014.
Seconda puntata del progetto "Leggere le emozioni" dell'Istituto Comprensivo Quinto Nervi: quattro chiacchiere spensierate con niente-po'-po'-di-meno-che

Giancarlo Berardi e Lorenzo Calza

Il titolo suggestivo dell'incontro è "La testa fra le nuvole": non resta che presentarsi in piazza Duca degli Abruzzi, lunedì alle 17, per scoprire di che si tratta.
Un'occasione rara, tra l'altro, attesa con un po' di suspense dagli stessi relatori, collaboratori e co-autori di lunga data, ai quali è offerta l'opportunità di scoprirsi assieme davanti a un pubblico che, siamo certi, non farà rimpiangere quello che ha affollato all'inverosimile il Salone Municipale il 5 di questo mese.



Per agevolare la partecipazione all'incontro, il Comitato Genitori organizza un laboratorio creativo per bambini che si svolgerà all'interno dell'edificio e nello stesso orario. Anche il laboratorio è a tema: "Fumettiamo", per un max di 20 bambini/ragazzi, sarà tenuto da 2 educatrici dell'Ass. "Il sogno di Tommi". 

Abbiamo pensato davvero a tutto.


















mercoledì 19 novembre 2014

Assemblea COMITATO GENITORI



Venerdì 21 Novembre 2014 alle ore 16.45
presso la Scuola E. Fermi di Nervi
Assemblea per il RINNOVO ANNUALE del

Comitato Genitori 
_____________________________________________________________
 
Il Comitato funziona.

In due anni ha raggiunto molti degli obiettivi che si era preposti due anni fa (leggi qui: è un post del 31 gennaio 2013!), e per i miracoli, come si dice, ci stiamo attrezzando.

Ci vediamo venerdì, allora.






martedì 11 novembre 2014

Basta compiti?



Tutto parte da un libro, che è diventato una campagna "culturale", un manifesto da sottoscrivere, con adesioni di un certo rilievo:

Coordinamento Genitori Democratici - CGD
Fondazione Montessori
Angela Nava Mambretti - Presidente CGD
Daniele Novara - Pedagogista e Scrittore
Marco Vinicio Masoni - Psicologo e Psicoterapeuta
Alessandro Lumare - Autore di libri illustrati e Atelierista
Giovanna Giuffredi - Psicologa, Scrittrice e Giornalista

Trovate tutto cliccando QUI!

Si stanno raccogliendo documenti, testimonianze, idee in proposito.

Io non riesco a farmi un'opinione definitiva sull'argomento, e ho tenuto il titolo dubitativo… Basta compiti?

Certo, il tema esiste, bisogna capire fino a che punto sia affrontato in base alle esigenze del bambino, e dove entrino in gioco quelle a volte utilitaristiche delle famiglie.

Chiedere di comprimere il lavoro didattico a casa per poter appiccicare MILLE attività alternative al bambino, in gran parte prestazionali, per esempio, non mi sembra una grande idea.

Lavorare di concerto con la Scuola per ragionare con buonsenso sullo studente, sulle strade migliori, al di là degli appelli, mi sembra un' OTTIMA IDEA.

Sacrosanto, quindi, che venga valorizzata la Carta Internazionale dei Diritti dell’Infanzia, che all’art 31 recita: “Gli Stati membri riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…”

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, soprattutto gli insegnanti!

De Pres

venerdì 7 novembre 2014

Ecco come distruggiamo la mente dei nostri bambini


Sono una pedagogista-docente e mi occupo di formazione oramai da diversi anni. Troppo spesso però vedo una situazione che non posso più tacere, anche se non è la prima volta che ne parlo.
Sono molto indignata per la facilità con cui i nostri bambini vengono giudicati e “torturati” psicologicamente. E non sto esagerando! Perché la tortura non è solo quella fisica, ma anche e ai nostri giorni soprattutto, quella psicologica.
Viviamo in una società molto superficiale, dove i tempi frenetici e la poca pazienza che abbiamo nei confronti dei nostri bambini e delle nostre bambine, ci spingono a conclusioni affrettate sulle loro potenzialità e capacità cognitive, purché ci sollevino dall’incombenza di seguirli negli studi.

Troppo spesso i genitori mi portano i loro figli emotivamente avviliti, psicologicamente affranti, demotivati e senza più la minima autostima di se stessi.
Arrivano da me dicendomi che il loro bambino o la loro bambina ha difficoltà nello studio; che piange perché non vuole studiare; che non vuole andare a scuola. Me li portano dicendomi che l’insegnante gli ha detto che sicuramente ha qualche problema cognitivo, e quando arrivano da me hanno già fatto percorsi con il logopedista e il più delle volte, il medico, gli ha certificato un ritardo nell’apprendimento.
Ma sapete una cosa? Nel 99% dei casi, il bambino o la bambina non ha niente, recuperando nel giro di un anno scolastico tutte le carenze!
Mi sono chiesta più volte se voi vi foste mai domandati come reagiscono i vostri figli a tutte queste chiacchiere non vere sulla loro capacità di apprendimento. Vi siete mai chiesti cosa provano? Come stanno? Cosa pensano di tutte quelle ricerche mediche e quelle esercitazioni alienanti, ai quali vengono sottoposti anche solo perché hanno una pessima scrittura? Vi siete mai chiesti guardando la calligrafia di un medico se anche lui fosse disgrafico?
Ve lo dico io cosa pensano i nostri figli! Pensano di essere inferiori, di essere diversi, stupidi, non capaci come i loro compagni di classe. E la loro psiche lentamente cambia e diventa brutta. Perdono la loro autostima, diventano tristi, paurosi e a scuola non rendono più, non si sentono capaci e si convincono di non riuscire negli studi; dentro di loro si domandano perché devono continuare a studiare; perché devono andare a scuola, a cosa serve… perché la scuola non brucia!
Io sono molto indignata! con insegnanti impreparati nella didattica che si sentono in diritto di diagnosticare senza averne la competenza.
Sono molto indignata! con la connivenza dei medici psichiatri che devono trovare necessariamente un’anomalia in un bambino che ha solo bisogno di essere rispettato nei suoi tempi di apprendimento, mentre la loro diagnosi è basata su statistiche (vi ricordo che Albert Einstein ha mostrato la sua genialità solo all’università, risultando terribilmente carente in tutti i precedenti corsi di studi, soprattutto in matematica; e nonostante oggi si dica che fosse dislessico, niente e nessuno allora, fortunatamente, gli ha impedito di credere in se stesso e di diventare ciò che tutti noi conosciamo). Vogliamo parlare dei logopedisti? Che uccidono il pensiero del bambino tediandolo con tanti esercizietti che allontanano sempre più il piccolo dalla scuola? E tutto questo pur di non ammettere che quel paziente non ha bisogno del loro aiuto, ma solo di una efficace didattica che loro ignorano completamente.
Ma è tutto un sistema di scarica barile: l’insegnante ai genitori, i genitori al medico, il medico al logopedista e il logopedista sul problema diagnosticato dal medico che purtroppo si può migliorare, ma non curare; e non c’è la cura semplicemente perché non c’è la malattia!
Ma sono indignata anche con voi genitori! Che non avete la pazienza di ascoltarli i vostri figli; che li imboccate come se fossero sempre piccoli, senza svezzarli nel rapporto e nella loro continua e costante crescita di competenze. E questo è un errore grave, molto grave, perché non permettete loro di crescere, di sviluppare indipendenza, di conquistarsi quel pezzettino di mondo a scuola, che solo a loro appartiene.  Non avete voglia di seguire e capire i cambiamenti che la scuola li costringe a sviluppare, non avete la voglia di capire che il vero problema potrebbe essere nel rapporto con voi, con la maestra o con i compagni di classe. Perché è così: quasi sempre il problema scolastico ha le sue profonde radici nel rapporto umano.
Allora non distruggiamo la mente e la vitalità dei nostri figli, abbiate il coraggio e l’umiltà di valutare il vostro rapporto, di considerare quello che la maestra ha con vostro figlio o vostra figlia, prima ancora di intraprendere un percorso diagnostico, che in quanto tale, nella mente del bambino, riporta sempre e comunque a una malattia e quindi a una diversità dai compagni di scuola. Ricordandovi inoltre che oggi, quella che viene comunemente definita dislessia, il più delle volte è un abuso di terminologia e medicalizzazione su bambini sanissimi per questione di business. Non confondiamo le difficoltà didattiche e di rapporto con la scusa della malattia, una malattia che nessuno ha organicamente riscontrato e che si basa solo su statistiche. Eviteremo così di crescere bambini insicuri, ribelli, aggressivi, svogliati, tristi, spaventati e senza autostima.

Dr. Tiziana Cristofari
 

La notizia del SECOLO!


Bell'articolo sul Secolo XIX di ieri, in cui si cita anche questo blog.
Grazie a Edoardo Meoli.

E a Germana, Teresa, Mariacristina, e poi a tutti.

Lorenzo Calza